Armonia. Se una parola dovesse essere scelta per identificare i Genesis nel caleidoscopico universo del progressive rock, sarebbe senz’altro “armonia”. Armonia tra tecnica e melodia, con la prima sempre asservita alla seconda, senza mai quegli autocompiacimenti che caratterizzarono (a giustissima ragione, per carità!) altri mostri sacri del prog-rock come Yes ed Emerson, Lake & Palmer; oppure, senza quella marcatissima propensione alla sperimentazione sonora che permeava il sound dei King Crimson, “padri fondatori” del genere con il loro In the Court of the Crimson King. Ma anche armonia tra musica e testi. Testi spesso visionari, colti, ricchi di alliterazioni, giochi di parole, metafore e doppi sensi, specie quando partoriti dalla mente geniale del primo frontman della band, quel Peter Gabriel sempre dieci anni avanti al resto del mondo. Ma Gabriel non era l’unico a cimentarsi con la composizione dei testi. Ogni membro dei Genesis era autore di liriche: da Tony Banks (tastiere, chitarra 12-corde, cori) e Michael “Mike” Rutherford (basso, chitarra 12-corde, cori), fino a Steve Hackett (chitarre) e Phil Collins (batteria, voce), gli ultimi due decisamente meno prolifici. Ma nel complesso, mentre i testi dei quattro strumentisti erano complessivamente lineari, quelli di Gabriel no. Non si scrivono in cinque minuti, testi come quelli. E di certo non si comprendono nel medesimo lasso di tempo.
E’ lunga e complessa, la storia dei Genesis, ma indiscutibilmente ricca di fascino. Quasi trent’anni di discografia, quaranta di attività live, con qualche pausa. Anni ricchi di cambi di formazione e, soprattutto, di genere. Sebbene almeno tre fasi principali possano chiaramente essere delineate in questa storia pluridecennale, tanto c’è da raccontare, troppo per un articolo solo. E allora, non ci resta che partire, scandendo man mano le tappe di questo nostro viaggio.
1. Gli inizi, tra stagnazione e coltelli.
E’ negli anni ’60 che comincia la leggenda dei Genesis. Comincia tra i banchi di una rigida e grigia scuola inglese per ragazzi benestanti: la Charterhouse. E’ qui che Peter Gabriel e Tony Banks fanno amicizia con Michael Rutherford e con un giovane e geniale chitarrista, Anthony “Ant” Phillips. Ai quattro si unisce Chris Stewart alla batteria, successivamente, rimpiazzato da John Silver. E’ nel 1969 che i cinque entrano in sala d’incisione, dando alla luce la loro opera prima From Genesis to Revelation. Un disco certamente acerbo, ancora troppo legato alla “forma canzone” di due o tre minuti, che non lascia traccia nelle classifiche di vendita ma, soprattutto, nulla lascia intuire dei lunghi brani dalla complessa struttura che avrebbero formato la spina dorsale del radioso futuro della band. Poco dopo l’uscita del disco, John Silver lascia bacchette e tamburi a John Mayhew, che lo sostituisce alla batteria.
Ma basta un anno perché i quattro ventenni urlino al mondo della musica prog: “Ci siamo anche noi!”. E lo fanno in maniera forte, autoritaria, con Trespass (1970). Trespass è il disco dei contrasti. Michael Rutherford e, soprattutto, Anthony Phillips inventano “il sound delle 12-corde”, basato su arpeggi delicati delle loro chitarre, appunto, a 12-corde, cui spesso se ne sovrappone una terza, quella di Tony Banks che lascia momentaneamente le sue tastiere. Su questo intreccio fatato, Peter Gabriel ricama deliziose melodie al flauto traverso e le armonizzazioni vocali dei cori completano il tutto. Dusk, unico brano al di sotto dei sette minuti dell’album, descrive in maniera mirabile tutto questo.
A questo insieme idilliaco si contrappone, con dirompente contrasto, la violenta e rockeggiante The Knife (“Il Coltello”), uno dei brani più potenti dei Genesis e uno dei più amati dai loro fans, per oltre dieci anni cavallo di battaglia delle esibizioni live della band. Il testo di Gabriel, evocativo e ricco di crudi dettagli (Vi darò i nomi di coloro che dovrete uccidere / Tutti loro dovranno morire insieme ai loro figli / Portate le loro teste al palazzo vecchio / Infilzatele e lasciate che il sangue scorra) racconta, in prima persona, le gesta di una figura rivoluzionaria durante la presa del potere. Freddo e cinico è il finale del brano: Alcuni di voi vanno incontro alla morte / Certamente martiri / Di quella libertà / Che io vi procurerò!
Ma è la lunga Stagnation il brano probabilmente più significativo dell’intero album. E’ in Stagnation che gli estremi di Dusk e The Knife, apparentemente inconciliabili, mirabilmente si fondono: gli arpeggi sognanti delle 12-corde di Mike, Ant e, sporadicamente, Tony, contrappuntati dalla voce e dal flauto traverso di Peter e dalle tastiere dello stesso Tony, esplodono improvvisamente in intermezzi spiccatamente rock, con il potente drumming di Mayhew in posizione dominante. E, soprattutto, è in Stagnation che con maggiore chiarezza si intravede la strada luminosa che i Genesis svilupperanno e percorreranno nei successivi anni.
2. Il cambio di line-up
Ma come The Knife spezza la bucolica tranquillità di Dusk, così la decisione di Anthony Phillips di lasciare la band scuote quella dei Genesis. E’ il 1970. Il punto di riferimento musicale dei Genesis se ne va. L’ansia da palcoscenico gli toglie il sonno e il fulmine a ciel sereno della sua dipartita lo toglie agli altri componenti . Tutto questo proprio mentre Trespass, accolto abbastanza freddamente in Gran Bretagna, raggiunge un inaspettato e clamoroso n.1 nelle classifiche del vicino Belgio. Rutherford, Banks e Gabriel sono disorientati, in qualcuno matura il dubbio di lasciar perdere e di seguire le più sicure e remunerative strade che i benestanti genitori avevano immaginato per i loro rampolli. Ma si andrà avanti. Per fortuna.
Quella di Ant non sarà l’unica defezione successiva all’uscita di Trespass. Il gruppo è insoddisfatto e molto duro nei confronti di John Mayhew. Banks lo definisce un disastro, che invece di dare il tempo correva dietro alla band. Fatto sta che Mayhew lascia i Genesis. Mayhew era batterista solido e potente, ma evidentemente inadatto stilisticamente alla direzione che il gruppo intendeva intraprendere. Il batterista farà perdere completamente le sue tracce per oltre trent’anni (si seppe poi che aveva vissuto tra Australia e Nuova Zelanda), tanto che soltanto nel 2006 il management dei Genesis riuscirà a rintracciarlo e a versargli le oltre 70.000 sterline maturate in 36 anni per le vendite di Trespass. John Mayhew morirà poi nel 2009 per problemi cardiaci.
E’ comunque il momento di andare avanti, di cercare un batterista e un chitarrista. Per il ruolo di batterista, dopo decine di provini viene scelto un drummer di straordinaria tecnica, capace di passare con disarmante facilità da delicate carezze alle pelli, portate con tocco quasi jazzato, a dinamiche potenti e robuste, sempre garantendo una grande solidità ritmica, perfettamente integrata con le linee di basso di Rutherford. In più, il giovanotto è dotato di capacità vocali di assoluto livello e di un timbro che qualcuno definisce simile a quello di Gabriel, ma che più che altro si integra perfettamente con quello del vocalist principale. Di quel batterista si parlerà molto negli anni a venire, e non solo come batterista dei Genesis. Il suo nome è Phil Collins.
Occorre adesso trovare un chitarrista. Peter Gabriel viene colpito da un annuncio sul Melody Maker: Chitarrista cerca musicisti aperti e decisi ad andare oltre le stagnanti forme musicali esistenti. Stagnanti. Stagnation. A firmare quell’annuncio, un barbuto chitarrista dagli spessi occhiali, di nome Steve Hackett. Hackett non conosceva Stagnation. Curiosa coincidenza o segno del destino, la presenza di quella parola così particolare nell’annuncio del chitarrista? Fatto sta che Hackett invita Banks e Gabriel a casa sua, mentre Rutherford è a casa malato. Suona qualcosa accompagnato al flauto dall’inseparabile e talentuoso fratello John. Banks e Gabriel ne sono impressionati. Steve Hackett, dopo aver convinto anche Mike Rutherford, è il nuovo chitarrista dei Genesis.
3. Crimini e filastrocche nella stanza dei bambini.
Completata la formazione, è tempo di rientrare in sala di incisione. I Genesis hanno un po’ di materiale composto con Anthony Phillips prima della sua uscita dalla band. Molto altro materiale verrà creato ex-novo dalla nuova formazione.
Tra il materiale pregresso, c’è una composizione alla 6 corde elettrica, principalmente opera di Michael Rutherford. Quella composizione embrionale viene sviluppata, integrata, arricchita, fino a diventare uno dei brani più leggendari mai partoriti dalla grande creatività dei Genesis: The Musical Box. E proprio The Musical Box apre lo straordinario nuovo album della rinnovata line-up: Nursery Cryme (1971). Il titolo è uno dei tipici giochi di parole tanto cari ai Genesis e a Peter Gabriel in particolare: è una fusione tra Nursery Rhymes, ovvero le filastrocche per bambini, e Crime, “crimine”. Il legame con la storia raccontata in The Musical Box è intimo. The Musical Box narra di due bambini, Cynthia di 9 anni ed Henry di 8. Giocando a croquet, Cynthia decapita Henry con la sua mazza. Due settimane dopo il tragico evento, la bambina scopre nella camera del defunto Henry il carillon (“The Musical Box”, appunto) dello sfortunato bambino e, incuriosita, avidamente lo apre. Una dolce melodia inizia a suonare e, contemporaneamente, lo spettro di Henry si materializza. Il bambino racconta di dove egli si trovi (Ma io sono perso in questo mondo a metà / Nulla sembra più avere importanza adesso) e rapidamente invecchia, bramando al contempo di soddisfare il desiderio sessuale dell’intera vita di un uomo sulla sua assassina (Te ne stai lì, con la tua espressione attonita / Sollevando dubbi su tutto ciò che ho da dire / Perché non mi tocchi? / Toccami, perché non mi tocchi? / Toccami! Ora! Ora! Ora! Ora! Ora!!!). La bambinaia, insospettita dagli strani rumori, accorre nella nursery e prontamente scaglia il carillon contro l’ectoplasma del bambino barbuto, distruggendoli entrambi. Nelle esibizioni dal vivo dell’anno successivo, Gabriel, autore del testo, eseguirà il finale del brano indossando una maschera di vecchio, lasciando poi la scena ad un finale strumentale magniloquente, teso, potente che stringe la bocca dello stomaco per la sua straordinaria carica emotiva. Poche volte la musica rock, nella sua pur lunga storia, è stata capace di sensazioni così intense.
Ma The Musical Box non è l’unica pietra miliare di Nursery Cryme. Un altro brano testimonia la straordinaria capacità di Peter Gabriel di creare narrazioni fantastiche prendendo spunto dal reale, nonché di quella dei Genesis di supportare con musiche di grande potenza evocativa i suoi testi. Esiste una pianta infestante (o malerba) nota come panace di Mantegazza (Heracleum Mantegazzianum). La pianta è originaria della Russia e ha una straordinaria capacità di diffusione. La malerba è altamente tossica, provocando grosse vesciche sulla pelle quando questa viene esposta ai raggi solari dopo il contatto, nonché cecità temporanea o permanente in caso di contatto con gli occhi. La pianta è esteticamente bella e per questo venne importata a fini ornamentali in Europa nel tardo ‘700.
Gabriel prende spunto da quanto di cui sopra per il testo della monumentale The Return of the Giant Hogweed. La malerba viene immaginata dotata di intelligenza propria, animata da sentimenti di vendetta nei confronti della razza umana, rea di averla crudelmente sradicata dal suo contesto d’origine, ed immune a qualsiasi erbicida. Il momento topico del brano viene raggiunto al minuto 4:55. Gli arpeggi di pianoforte di Banks trasmettono con forza l’idea di qualcosa di strisciante; i colpi secchi di Collins sui tamburi gravi (tom, timpano, cassa) aggiungono la sensazione di qualcosa di grande, potente e quasi militarmente organizzato; la chitarra di Hackett, sovrapponendosi agli arpeggi di Banks, rafforza quella sensazione di esseri striscianti che inarrestabilmente avanzano, fino ad aprirsi in uno degli assoli più evocativi mai composti dal chitarrista. Un’ultima strofa cantata, magistralmente eseguita da Gabriel (La malerba gigante vive / AVANZA!), lascia il posto al potente finale strumentale, che si chiude lasciando un senso di attesa irrisolta e sospesa a chi ascolta.
Il terzo “monumento” di Nursery Cryme è la conclusiva The Fountain of Salmacis. Stavolta è Tony Banks ad assumersi l’onere della stesura del testo, a sfondo mitologico, che racconta della leggenda greca della ninfa Salmace e del bellissimo Ermafrodito. Rifiutata da Ermafrodito, Salmace invoca gli Déi di punire il giovane per essersi bagnato, senza permesso, nella sua fontana. La punizione da lei invocata, e che gli Dèi esaudiranno, sarà quella di essere unita in eterno al suo amato in un solo corpo, in cui gli organi riproduttivi maschili e femminili coesisteranno. Musicalmente, il pezzo è un capolavoro! Collins tira fuori dal cappello a cilindro una delle sue ritmiche più incredibili, in cui è a volte difficile distinguere quali pezzi colpisca del suo drum-set e in che ordine (e chi scrive è un batterista), degnamente spalleggiato da una grandissima linea di basso di Michael Rutherford; Hackett compone assoli ed arpeggi memorabili e ricchi di pathos; Banks fornisce una base magniloquente di tastiere, che si snoda incessante lungo tutti gli otto minuti del brano, oltre a un’intro e a una conclusione da brividi; Gabriel interpreta con la solita maestria il testo di Tony, punteggiando anche il brano con mirabili interventi al flauto traverso.
Non si possono non menzionare, almeno brevemente, gli altri capolavori di uno dei più begli album di prog-rock di tutti i tempi: Seven Stones, con i suoi continui cambi di dinamica, dominata dal superbo mellotron di Tony Banks; Harlequin, in cui ricompare, con tutti i crismi, quel sound delle 12-corde sviluppato ai tempi di Anthony Phillips; e Harold the Barrel, tipica e vivace “storiella” gabrielliana intrisa di humour nero tutto anglossassone, che racconta la storia di tale Harold, il quale decide di tagliarsi le dita dei piedi servendole agli avventori del suo ristorante per il five o’clock tea inglese in luogo dei tradizionali biscottini.
Eppure, è un delicato bozzetto di poco più di un minuto e mezzo il passaggio più “profetico” dei Genesis che verranno. I tre membri fondatori Banks, Gabriel e Rutherford decidono di lasciare un breve spazio ai due nuovi arrivati, Collins e Hackett, per esprimere la loro creatività e favorirne l’inserimento nelle dinamiche della band. Hackett compone allora un malinconico e crepuscolare brano sulla 12-corde, scrivendone poi il testo a quattro mani con Collins. Il brano è dedicato a coloro che non ci sono più, agli “amici assenti” (For Absent Friends). Peter Gabriel lascia in questo brano il microfono ed il ruolo di voce solista a Phil Collins. Un passaggio di consegne che diventerà definitivo appena cinque anni più tardi.
4. L’Italia!
Inaspettata come quella del n. 1 di Trespass nella classifica belga, un’altra clamorosa notizia arriva per i Genesis: Nursery Cryme, che non va oltre il 39.o posto in patria, replica il n. 1 di Trespass in Belgio e sfonda in Italia, raggiungendo inaspettatamente la posizione n.4 accanto a mostri sacri come Emerson, Lake & Palmer, Van der Graaf Generator e Premiata Forneria Marconi. E’ l’inizio di una lunga storia d’amore tra i Genesis e il nostro Paese, che accoglierà sempre bene le nuove produzioni della band e le esibizioni dal vivo sia dei Genesis che dei suoi singoli componenti nelle loro carriere soliste. E’ proprio quell’amore che, il 14 luglio 2007 (36 anni dopo), nel concerto del Circo Massimo di Roma davanti a 500.000 persone (io c’ero, ragazzi!), porterà Phil Collins a dire: “L’Italia è sempre stata nel cuore dei Genesis“. Ed ancora, è, in Italia, a Napoli, che, un anno dopo si materializzerà la storia di un alieno che mette piede sul nostro pianeta, trovandolo deserto. Ma questa è un’altra storia, che racconteremo presto.
Acknowledgments
Questo articolo è dedicato alla memoria di Luigi de Notaris e al ricordo delle lunghe ore trascorse insieme ad ascoltare la musica immortale dei “nostri” Genesis. R.I.P., cugino. For absent friends.